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IL TERRITORIO RIPENSATO 

Perché ripensare i territori

 

Ripensare i territori come sistemi aperti, stelle polari con relazioni multiple ed estese, non ambiti delimitati da confini: questo il modello per una proposta adeguata a una rivoluzione spaziale, antropica, tecnologica, sociale, economica, molto più profonda e radicale di quella aperta dai viaggi oceanici, dal sistema copernicano o dalle successive rivoluzioni industriali.  Questo vuol dire pensare i territori come siatemi che combinano contenuti, simboli e linguaggi per essere continuamente attrattivi, creativi ed espansivi.

La grande metafora di questa rivoluzione è il passaggio dal modello della macchina al modello del vivente, in cui la diversità, la molteplicità di fattori ricombinabili è la condizione della vita. Studiare la biodiversità non è importante solo per trarne risorse ancora sconosciute, ma per comprendere gli equilibri dinamici che le attuali governance economiche e territoriali non sono in grado neppure di vedere.

Proprio come i nodi negli ecosistemi naturali, i territori seguono la legge di potenza, per cui alcuni generano intorno ad essi sistemi sempre più ampi. Il fattore chiave di questo processo espansivo è la capacità di attrarre e interiorizzare culture ed esperienze, e soprattutto di rielaborarle con una speciale intelligenza creatrice.

Il pericolo maggiore per la vita è l’omologazione, sia all’interno, sia nelle reti esterne. Questo spiega la necessità della strategia glocal, che è anche quella adottata dalla natura: un polo si espande se è alimentato in continuazione dalla diversità di fonti locali, attraendone o creandone di continuo di nuove

da un articolo di Paolo Zanenga

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